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Quando la comunicazione fa la differenza – Il caso Acerbi-Spalletti e l’intelligenza linguistica nel calcio

  • Immagine del redattore: Andrea Ciccone
    Andrea Ciccone
  • 6 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Nel gioco del calcio – e in ogni sistema complesso in cui l’essere umano è al centro – le parole sono più importanti dei piedi. Sì, hai letto bene: più delle gambe, più della tattica, più degli schemi. Perché le parole costruiscono significati, e i significati costruiscono mondi. Il recente caso che ha visto protagonisti Francesco Acerbi e il CT della Nazionale Luciano Spalletti non è solo una questione sportiva. È un caso di studio perfetto per parlare di comunicazione, intelligenza linguistica e di quanto la testa, prima dei muscoli, sia il vero campo da gioco.

Il “dissing” come sintomo, non come causa

Quando un atleta della caratura di Acerbi sceglie di tirarsi indietro da una convocazione in Nazionale, lo fa per una ragione profonda, emotiva. Le sue parole – e ancor di più, i non detti – lasciano trasparire un senso di frattura. Dall’altra parte, le dichiarazioni di Spalletti appaiono determinate, ma anche intrise di una certa rigidità.

Sto con Acerbi? No. Sto con Spalletti? No. Sono qui per osservare, analizzare e offrire spunti. Perché in tutto questo, una domanda sorge spontanea: e se tutto questo si fosse potuto evitare?

Il potere delle parole nella leadership

Un leader è colui che sa usare il linguaggio per costruire ponti, non muri. Spalletti è un grande tecnico, ma in qualità di selezionatore della Nazionale, ha anche un compito comunicativo che va oltre la tattica: ispirare, motivare, gestire le emozioni di venti, trenta uomini con ego, storie e vissuti diversi.

È bene sapere che ogni parola che pronunciamo attiva nella mente dell’altro una serie di scenari emotivi. Frasi come “Sapete quanti anni ha Acerbi? Trentasette!”, seppur legittime, possono innescare negli interlocutori un senso di giudizio, esclusione e in questo caso mettere in discussione un sistema meritocratico di selezione dei giocatori, perché inevitabilmente la prima domanda che verrebbe da fare è: Qual è il nesso tra età anagrafica e possibilità/capacità di rappresentare il proprio paese? Gli esempi a sostegno sono molteplici, scelgo l'ultimo in ordine cronologico: Cristiano Ronaldo, anni 40, che ha deciso con un goal la sfida di UEFA Nations League contro la Germania.

La seconda domanda che verrebbe da porsi: Se Acerbi era ritenuto 'vecchio' qualche mese fa, oggi non lo è più? Insomma un vero e proprio cortocircuito di coerenza nella comunicazione. E anche se Spalletti avesse avuto tutte le ragioni del mondo dal punto di vista tecnico, è sul piano emotivo che si gioca la vera partita.

Un ulteriore scivolone comunicativo, poi, è arrivato con il commento sul “like” di Roberto Mancini al post social di Acerbi. Spalletti ha detto: Il like di Roberto Mancini? Qualcuno gli ha rubato il telefono e c'è qualcuno che gli sta mettendo like per fargli fare brutta figura." Percepito o reale, questo tipo di osservazione apre un fronte emotivo: sposta il discorso da ciò che è utile al gruppo a ciò che è divisivo. Si trasforma in miccia. Il focus si allontana dal campo e si sposta sulla polemica.


Come il coaching avrebbe potuto cambiare tutto

Se avessimo inserito in questa dinamica un modello di coaching efficace – quello vero, non quello da bar – probabilmente oggi staremmo parlando di tutt’altro.

  1. Ascolto attivo: un coach (o un leader allenato mentalmente) sa che il primo passo per evitare incomprensioni è ascoltare in profondità, senza filtri, senza giudizio. Capire cosa c’è dietro le resistenze di un giocatore è più utile che contrastarle a muso duro.

  2. Ricalco e guida: tecniche come il mirroring verbale e la guida linguistica possono creare immediatamente un senso di empatia. Bastava dire: “Capisco che tu senta una distanza. Mi interessa sapere come stai, perché abbiamo bisogno di tutti, e soprattutto di chi come te ha esperienza”. Questa frase, se detta con congruenza emotiva, cambia tutto.

  3. Domande potenti: un leader chiede, non impone. “Che cosa ti aiuterebbe a sentirti parte del gruppo?” è una domanda che apre spazi. E spesso, in quei varchi, le persone rientrano da sole.

L’intelligenza emotiva nel calcio moderno

L’allenamento mentale non è più un “di più”. È la nuova frontiera della performance. Una Nazionale che non si parla bene, che vive attriti e tensioni mal gestite, è una squadra vulnerabile. Un leader che non conosce le leve della comunicazione efficace rischia di perdere prima gli uomini, e poi le partite.

Ecco perché, se vogliamo davvero vedere un calcio vincente, dobbiamo iniziare ad allenare le parole tanto quanto i passaggi filtranti. Perché dietro ogni rottura c’è un dialogo che non è avvenuto. Dietro ogni frattura c’è una parola mancata.


Il caso Acerbi-Spalletti è una lezione per tutti noi. Non serve schierarsi, serve capire. E capire significa imparare a riconoscere che ogni conflitto nasce da una mancata comunicazione emotiva. Tecniche di coaching, intelligenza linguistica, ascolto attivo e comunicazione efficace sono strumenti che, se integrati nel calcio – come nella vita – possono trasformare lo spogliatoio in un luogo di crescita e coesione.

Allenare la testa è oggi l’unico vero modo per vincere. In campo e fuori.


Il CT Luciano Spalletti insieme a Francesco Acerbi


 
 
 

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